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LINGUAGGI JAZZ Archivio 2003 -TORINO-

Sabato 15 febbraio Piccolo Regio ore 21.15

DAVID KRAKAUER
KLEZMER MADNESS

David Krakauer, clarinetto
Sheryl Bailey, chitarra
Will Holshouser, accordion
Mary Ann McSweeney, basso
Michael Sarin, batteria e percussioni


David Krakauer

Figura chiave nel panorama neo-klezmer, David Krakauer si considera curiosamente un conservatore, collocandosi nell'ala più "rigida" dell'attuale revival dell'antica musica ebrea ashkenazita. "Sono la polizia klezmer" dichiara con humour severo, alludendo alla necessità di eseguire correttamente lo stile: "È musica da ballo, ha una sua funzione". È una severità che non coincide necessariamente con l'ortodossia kosher: la "pazzia" iconoclasta del suo quintetto non teme di misurarsi con Sidney Bechet, Jimi Hendrix (nell'acido titolo "Klezdrix") o addirittura col re della chitarra surf Dick Dale.
Il clarinettista newyorkese è un superbo maestro di tecnica, fluido nel fraseggio e nell'uso del vibrato, riconoscibile nell'articolazione e nel peso di ogni nota, nei toni bassi come nei più acuti. Ha abbracciato la causa klezmer nel 1988, quando entrò nei Klezmatics, decisivi alfieri della "Jew wave", per restarvi sette anni e incidere album essenziali come Rhythm And Jews e Jews With Horns. "A quell'epoca erano pochi i giovani che si dedicavano a questa musica, tutt'al più qualche collezionista di vecchi dischi folk. Ritenevamo che l'interesse si stesse esaurendo, suonavamo per noi stessi o in qualche ristretta occasione sociale. Ma quando sono andato a Berlino a suonare coi Klezmatics davanti a mille fans urlanti mi sono accorto che c'era una prospettiva. E non è un caso che l'interesse sia esploso dopo la caduta del Muro: l'aprirsi dell'Europa orientale fu un momento nella storia e nella coscienza ebraica che segnò una controtendenza al razzismo e all'antisemitismo".
Lo spirito eclettico di Krakauer non si limita a un genere solo. Musicista di granitica formazione classica (laureato al Julliard, si è perfezionato al Sarah Lawrence College e al Conservatorio di Parigi), durante le scorse stagioni ha collaborato con il Quartetto d'Archi di Tokyo, il Trio Eroica, il Kronos Quartet e altre prestigiose formazioni cameristiche in repertori che spaziavano da Brahms a Bartok, da Schönberg a Messaien a Golijov, per non dire della sua interpretazione in solitudine della difficile Sequenza per clarinetto di Luciano Berio in un locale di New York alla presenza del top della critica mondiale e dello stesso autore.
"Tra gli ebrei middleclass tra cui sono cresciuto", notava Howard Mandel su Jazz Times, "era di moda sostenere altre estetiche musicali in ambito culturale, antropologico e sociologico: il nazionalismo nero negli anni '60, i rastafariani nei '70, l’ hard bop negli '80, il rilancio dei vecchi orchestrali cubani nei '90; la musica ebraica era invece, come dire, imbarazzante, demodé, ridicola… Ora sta cambiando tutto, grazie a correnti come la 'radical Jewish culture' di John Zorn o il 'Jewish alternative movement' coniato dalla Knitting Factory di Michael Dorf. E naturalmente a musicisti come David Krakauer. La musica ebraica è diventata come il pane di segale e i bagel : non occorre che siate ebrei perché vi piaccia."


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