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LINGUAGGI JAZZ Archivio 2002 -TORINO-


Sabato 19 gennaio
Piccolo Regio Puccini ore 21.15

IRENE AEBI & STEVE LACY

Irene Aebi, voce
Steve Lacy, sax soprano

Irene Aebi

Per Steve Lacy "la ricerca è questione di appetito, appetito costante per cose nuove". Nondimeno, la vera ricerca artistica "non può limitarsi a un solo aspetto della musica. Io imparo ogni giorno qualcosa, da ogni musicista che ascolto o con cui suono, imparo da tutto ciò che mi circonda. Tutti coloro che sono interessati a creare mi interessano, siano Cootie Williams o Lao Tse oppure Ezra Pound".
"Tutte le arti convergono a un'unità. Lo spazio, il tempo e il suono, i colori, gli oggetti, i corpi. Mi sembra logico di mescolarle. Forse è dovuto all'influenza di Duke Ellington, che ha sovente lavorato col canto, la danza, il teatro, con differenti discipline. Era la musica a connettere tutto ad essere ovunque e a impregnare l'insieme"
Steven Norman Lacritz è uno dei rari sassofonisti che si sia dedicato interamente al soprano, conferendogli un carattere distinto e definitivo. Grande fonte di ispirazione - eppure, al contrario di altri maestri, poco imitato in modo diretto - in un percorso di continua ricerca, ha attraversato la storia della musica improvvisata dalle origini fino agli oscuri recessi. Dalle eccellenti riletture dell'universo compositivo di Duke Ellington e di Thelonious Monk alle collaborazioni con la Jazz Composers Orchestra o con la Globe Unity di Alex von Schlippenbach, all'area "colta" della Musica Elettronica Viva di Frederic Rzewski, Alvin Curran e altri oscuri alchimisti, i suoi numerosi interessi paralleli si sono espressi in svariati contesti e dimensioni. A fronte di quintetti, sestetti, big band, in duo, trio o inesorabilmente solo, Lacy, nato a New York nel 1934 e residente a Parigi dal 1969 (nel 2002 - pare - terminerà il suo prolungato esilio; tornerà stabilmente in patria, avendo ottenuto una cattedra a Boston), ha esplorato e sfruttato ogni possibiltà sonora dello strumento, dall'acuto più sostenuto al grave più corposo, in un universo pieno di contrasti, rapide spigolature e rotondità man mano più eloquenti col passare degli anni.
La svizzera Irene Aebi, già archista dal timbro e dalle caratteristiche spiccatamente personali ma ora esclusivamente cantante, dopo l'incontro con Steve nel 1966 ha suonato il violino e il violoncello con rilevanti ensemble d'avanguardia. L'ampia estensione della sua voce (tre ottave piene), in perfetta sintonia col sax di Lacy, gioca su un esteso repertorio di testi poetici e letterari da tutto il mondo: Lao Tse, Braque, Apollinaire, Paul Valery, William Burroughs e Jack Kerouac.
Il matrimonio tra il sassofono jazz e la poesia ebbe un battesimo ufficiale quando proprio Kerouac incise Blues and Haikus con Al Cohn e Zoot Sims, un album che per ora non ha avuto una rinascita digitale. Coincidenza o no, negli stessi mesi Lacy era quel giovane sopranista in rapida ascesa che la rivista Metronome aveva nominato "nuova star per l'anno 1957". Ma qui le coincidenze terminano. La fusione di Steve e Irene delle due forme è un'esplorazione che trascende le vertigini delle "generazioni perdute" e svela tutte le gradazioni possibili tra purezza e contaminazione dell'arte in quanto tale.

Steve Lacy
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