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Conservatorio G. Verdi
Piazza Bodoni Torino

Sabato 13 novembre 2010 ore 21,15

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TRILOK GURTU SOLO

Trilok Gurtu percussioni

Le tradizioni musicali di Oriente e Occidente si incontrano nelle improvvisazioni di Trilok Gurtu, il maestro di percussioni originario di Bombay e conteso negli ultimi quattro decenni dalla crema del jazz internazionale. Alunno della band di Don Cherry dal 1976 al 1978, è stato al fianco di Jan Garbarek, Bill Evans, Nana Vasconcelos e Joe Zawinul, oltre che di primari chitarristi jazz e rock, da Pat Metheny a Vernon Reid, da Larry Coryell a David Gilmour. Proprio due chitarristi sono stati cruciali per la sua ascesa alla ribalta mondiale: Ralph Towner, che lo volle negli Oregon dal 1984 al 1988, e John McLaughlin, che lo ha reclutato in successive edizioni della Mahavishnu Orchestra e con il quale il sodalizio dura da più di vent’anni.
Eppure, all’epoca del suo esordio come leader in Usfret (1988) - un periodo in cui il termine “world music” non era ancora in voga - incontrò l’ostracismo della critica cosiddetta “purista”, secondo lui frustrata perché incapace di classificare la sua musica. “È proprio a causa di quella gente”, riflette Gurtu a proposito di chi lo biasimava per aver “deviato” da presunti canoni invalicabili, “che la musica pura ristagna”. Il musicista indiano non accetta di essere definito “pandit”, “maharaja” o “ustad”: “non sono né classicalMassical”, dice a proposito del titolo del suo recente album, concepito come “musica classica diretta alle masse”. Vuole soprattutto suonare la musica che gli piace, e non darle per forza un nome. “Nemmeno jazz, perché è qualcosa di americano, e io non sono americano: improvviso musica che viene dall’India e dall’Africa”.

E soprattutto nasce dal suo irrefrenabile individualismo, a proposito del quale era stato ammonito fin da piccolo. “Avrai dei problemi col tuo atteggiamento, ma non fissarti su nulla in cui non credi veramente”, gli diceva la madre Shobha Gurtu, una delle cantanti più famose dell’India da cui fu iniziato alle tabla; suo nonno era invece un rinomato suonatore di sitar. Gurtu vanta forti legami con l’Italia, dove incominciò la sua avventura musicale negli anni Settanta, prima di stabilirsi in Germania. Allora prese parte al progetto degli Aktuala, un gruppo italiano che coniugava in una complessa ricerca ritmica sonorità africane e orientali. Più di recente è comparso a fianco di cantautori come Marina Rei e Ivano Fossati, e nel 2007 ha realizzato Arkeology, insieme con i bolognesi dell’Arkè String Quartet. È un lavoro che culmina nell’estesa "Taranta Suite", riuscitissimo mix tra le tabla e le contagiose danze salentine.
Gurtu ha lavorato con molti musicisti e cantanti africani, da Angelique Kidjo a Salif Keita a Oumou Sangare. “Merito di Don Cherry”, riconosce, “che di Africa ne capiva più di Miles Davis. La musica indiana e quella africana condividono una semplicità dietro cui si nasconde, in realtà, una complessità quasi scientifica”. Per lui la dialettica tra semplicità e difficoltà è differente da come appare in superficie. “Ho studiato con un grande maestro, a cui dicevo che, anche quando suonava tessiture complicate, erano sempre gradevoli da ascoltare. E lui mi rispondeva: Le cose difficili devono essere semplici, e quelle semplici difficili”.



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